Reato estinto con condotte riparatorie: quando e come è possibile?

Molti assistiti, coinvolti in un procedimento penale, ci chiedono: È vero che se risarcisco il danno posso evitare il processo o la condanna? La risposta è: sì, in certi casi è possibile ottenere l’estinzione del reato con il risarcimento del danno. In questo articolo ti spieghiamo quando si può fare, come funziona e quali vantaggi può portare.


1. Cos’è l’estinzione del reato per condotte riparatorie

Il nostro ordinamento prevede che alcuni reati possano essere dichiarati estinti se l’imputato pone in essere determinate condotte riparatorie, come ad esempio il risarcimento integrale del danno alla persona offesa.

Si tratta di una forma di giustizia riparativa, introdotta con il d.lgs. 274/2000 per i reati di competenza del giudice di pace, e poi estesa anche ad alcuni reati più gravi (come ad esempio le lesioni personali colpose o alcuni reati contro il patrimonio).


2. Quando è possibile ottenere l’estinzione del reato

L’estinzione del reato per risarcimento del danno è possibile solo per alcune tipologie di reati. I principali requisiti sono:

  • Reato perseguibile a querela di parte
  • La persona offesa deve aver ricevuto un risarcimento integrale del danno
  • se la persona offesa non accetta il risarcimento è comunque possibile chiedere al Giudice di dichiarare estinto il reato formulando un’offerta reale a norma degli artt. 1208 e seguenti c.c.
  • la condotta riparatoria deve essere posta in essere prima della dichiarazione di apertura del dibattimento

3. I vantaggi per l’imputato

Se il giudice accoglie l’istanza il reato è dichiarato estinto e l’imputato non subisce alcuna condanna. I vantaggi sono notevoli:

  • Nessuna iscrizione nel casellario giudiziale come condannato
  • Niente processo (o processo che si chiude rapidamente)
  • Nessuna sanzione penale

Naturalmente, tutto questo richiede la collaborazione della persona offesa e un intervento tempestivo del difensore.


4. Il ruolo dell’avvocato

Il compito del difensore è valutare subito se il reato rientra tra quelli estinguibili, contattare la persona offesa (quando possibile) e costruire un accordo riparativo che soddisfi le condizioni di legge. Dopodiché si può presentare un’istanza al giudice, anche prima del dibattimento. Di frequente accade anche che, trovato l’accordo con la persona offesa, quest’ultima decida di procedere alla remissione di querela con chiusura immediata del procedimento ed estinzione del reato, senza bisogno di dover presentare l’istanza ex art. 162 ter c.p. al Giudice.


Conclusione

In molti casi, una soluzione intelligente e collaborativa può evitare l’aggravarsi delle conseguenze penali. Se sei coinvolto in un procedimento penale per un reato procedibile a querela di parte, valuta con il tuo avvocato se puoi risolvere la situazione in modo efficace e senza condanna, attraverso un percorso riparativo.

Hai bisogno di una consulenza su un procedimento in corso? Contattaci: possiamo valutare insieme se ci sono le condizioni per richiedere l’estinzione del reato.

Divieto di avvicinamento e diritto di visita

Oggi parleremo del rapporto tra la misura cautelare del divieto di avvicinamento e il diritto di visita del genitore separato, alla luce della recentissima sentenza n. 19483/2025 della Corte di Cassazione penale.


1. Cos’è la misura del divieto di avvicinamento?

Si tratta di una misura cautelare (ex art. 282 ter c.p.p.) volta ad impedire alla persona indagata o imputata di avvicinarsi alla persona offesa, ai luoghi frequentati dalla persona offesa o dai suoi famigliari. La misura può consistere anche nel divieto di comunicazione , con qualsiasi mezzo, con la persona offesa o con i suoi conviventi o con le persone che le sono affettivamente legate. La sentenza 19483/2025 ha confermato la legittimità di applicare tale divieto anche nei confronti del figlio minore quando questo abbia assistito a maltrattamenti, cioè nel caso di violenza domestica cosiddetta assistita.

In concreto, il provvedimento può vietare ad un padre indagato di maltrattamenti in famiglia, a cui abbia assistito il figlio,  di avvicinarsi ai luoghi frequentati dal minore (abitazione, scuola, parchi ecc.), di comunicare con lui o di usare intermediari.  L’obiettivo primario è quello di tutelare il minore che sia stato vittima o testimone della violenza. 


2. Il diritto di visita del genitore separato

Nel diritto civile, in caso di separazione o divorzio, è riconosciuto al genitore non collocatario il diritto di visita al figlio minore, spesso regolato dal tribunale civile nell’interesse del bambino. Questa misura mira a salvaguardare il legame genitoriale, bilanciando i diritti di entrambi i genitori.

Tuttavia, secondo la Cassazione, questo diritto non è assoluto, ma deve cedere di fronte alla necessità di tutelare il minore che sia stato vittima dei maltrattamenti, anche nel caso in cui non siano a lui diretti ma vi abbia assistito.  

La tutela del minore è prioritaria e superiore anche al diritto di visita. 


3. La sentenza n. 19483/2025: i punti salienti

  • Si conferma che il minore vittima diretta o testimone di maltrattamenti è qualificato come “persona offesa” dal reato, giustificando una tutela penale più incisiva .
  • Il Giudice penale può pertanto adottare misure cautelari che siano, astrattamente, in contrasto con il provvedimento civile che dispone il diritto di visita, laddove queste siano ritenute necessarie per proteggere il minore.
  • La tutela del minore è prioritaria e superiore, in un’ottica di bilanciamento di diritti, rispetto al diritto di visita del genitore.

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Il nuovo reato nel decreto sicurezza: la norma “ANTI GANDHI”

Hai sentito parlare del recente decreto sicurezza? da oggi è legge e una delle novità più interessanti riguarda l’introduzione di un nuovo delitto che riguarda l’impedimento della circolazione su strada. Vediamo di cosa si tratta in modo semplice e chiaro.

Di cosa si tratta?
Il decreto sicurezza ha modificato l’art. 1 bis del D.lgs n. 66/48 trasformando quello che prima era un illecito amministrativo in un reato che punisce chiunque ostacoli o impedisca la libera circolazione su strada o su ferrate, ostruendo la stessa con il proprio corpo. Questo può includere azioni come bloccare un’arteria stradale, mettendosi seduti sulla stessa così da impedire il passaggio dei veicoli e delle persone.

Perché è stato introdotto?
L’obiettivo principale è garantire la sicurezza di tutti gli utenti della strada, prevenendo situazioni di pericolo che possono derivare da atti di sabotaggio, proteste o altri comportamenti che ostacolano la circolazione. In questo modo, si vuole tutelare la libertà di movimento e ridurre i rischi di incidenti o blocchi improvvisi.

Quali sono le sanzioni?
Le sanzioni previste per chi viola questa norma sono la reclusione fino a un mese o la multa fino a 300 Euro, ma se il fatto è commesso da più persone riunite la pena aumenta e consiste nella reclusione da sei mesi a due anni. 

In sintesi
Il nuovo reato mira a proteggere la circolazione stradale e a garantire che tutti possano muoversi in sicurezza. È importante rispettare le regole e ricordare che azioni che ostacolano il traffico possono avere conseguenze legali serie.

Va ricordato che l’art. 1 del D.lgs 66/48 sanziona con la reclusione da uno a sei anni il reato di blocco ferroviario ovvero l’illecito commesso da chi, per impedire od ostacolare la libera circolazione, depone o abbandona congegni o altri oggetti di qualsiasi specie in una strada ordinaria o ferrata o comunque ostruisce o ingombra una strada ordinaria o ferrata (comma 1); alla stessa pena è soggetto chi con le stesse modalità commette analogo blocco in una zona portuale o nelle acque di fiumi, canali o laghi, per ostacolare la libera navigazione, o comunque ostruisce o ingombra tali zone (comma 2). La pena è raddoppiata se il fatto è commesso da più persone, anche non riunite, ovvero se è commesso usando violenza o minaccia alle persone o violenza sulle cose (comma 3). 

Se hai altre domande o vuoi approfondire qualche aspetto, i legali del nostro studio sono qui per aiutarti!

Occupazione abusiva di immobili:  la nuova fattispecie di reato

Oggi parliamo di un argomento importante e spesso delicato: l’occupazione abusiva di immobili e le recenti novità legislative che riguardano questa problematica.

Cos’è l’occupazione abusiva di immobili?
L’occupazione abusiva si verifica quando qualcuno mediante violenza o minaccia, occupa o detiene senza titolo un immobile destinato a domicilio altrui o sue pertinenze (quindi anche cantine, box auto ecc…), ovvero impedisce il rientro nel medesimo immobile del proprietario o di colui che lo detiene legittimamente. 

Cosa prevede la nuova norma?
Recentemente, sono state introdotte delle novità legislative per rafforzare la tutela contro l’occupazione abusiva. Il 12 aprile 2025, infatti, è entrato in vigore il Decreto Legge n. 48/25 (Decreto Sicurezza) che introduce nel codice penale l’art.  634-bis “Occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui”. 

La nuova fattispecie di reato prevede:

  • Pene più severe: sono state aumentate le pene per chi occupa abusivamente un immobile, prevedendo la reclusione da due a sette anni. Alla stessa pena soggiace chiunque si appropria di un immobile destinato a domicilio altrui o di sue pertinenze con artifizi o raggiri ovvero cede ad altri l’immobile occupato. Fuori dei casi di concorso nel reato, soggiace alla stessa pena chiunque si intromette o coopera nell’occupazione dell’immobile, ovvero riceve o corrisponde denaro o altra utilità per l’occupazione medesima.
  • Causa di non punibilità:  l’occupante che collabora all’accertamento dei fatti e ottemperi volontariamente all’ordine di rilascio  dell’immobile non sarà soggetto alla pena.
  • Misure di tutela per i proprietari: sono state introdotte procedure più snelle per il recupero della proprietà, attraverso l’introduzione dell’art. 231 bis c.p.
  • Sgombero immediato: nuova procedura di reintegrazione nel possesso per il proprietario. Su richiesta del pubblico ministero il giudice competente dispone con decreto motivato la reintegrazione nel possesso dell’immobile o delle sue pertinenze oggetto di occupazione arbitraria Prima dell’esercizio dell’azione penale, provvede il giudice per le indagini preliminari.
  • Nei casi in cui l’immobile occupato sia l’unica abitazione effettiva del denunciante, gli ufficiali di polizia giudiziaria che ricevono denuncia del reato di occupazione abusiva dell’immobile o sue pertinenze, espletati i primi accertamenti volti a verificare la sussistenza dell’arbitrarietà dell’occupazione, si recano senza ritardo presso l’immobile del quale il denunziante dichiara di essere stato spossessato, al fine di svolgere le attività d’indagine previste dall’art. 55 c.p.p. Ove sussistano fondati motivi per ritenere l’arbitrarietà dell’occupazione, ordinano all’occupante l’immediato rilascio dell’immobile e contestualmente reintegrano il denunciante nel possesso dell’immobile medesimo.
  • In caso di diniego dell’accesso, di resistenza, di rifiuto di eseguire l’ordine di rilascio o di assenza dell’occupante, gli ufficiali di polizia giudiziaria, ove sussistano fondati motivi per ritenere l’arbitrarietà dell’occupazione, dispongono coattivamente il rilascio dell’immobile e reintegrano il denunciante nel possesso del medesimo, previa autorizzazione del pubblico ministero, scritta, oppure resa oralmente e confermata per iscritto, o per via telematica.
  • Gli ufficiali di polizia giudiziaria redigono verbale delle attività svolte. Nelle quarantotto ore successive trasmettono il verbale al pubblico ministero competente; questi, se non dispone la restituzione dell’immobile al destinatario dell’ordine di rilascio, richiede al giudice la convalida e l’emissione di un decreto di reintegrazione nel possesso entro quarantotto ore dalla ricezione del verbale.

Cosa fare se si è vittima di un’occupazione abusiva?
Se ti trovi in questa situazione, è importante rivolgersi alle autorità competenti, come le forze dell’ordine o un avvocato penalista, per formalizzare una denuncia querela ed avviare le procedure di sgombero. 

Puoi avvalerti dell’assistenza del nostro studio legale scrivendo a segreteria@studiolegalegricitesta.com o contattandoci al numero 3936392107.

ORDINI DI PROTEZIONE: l’allontanamento dalla casa familiare e gli altri provvedimenti accessori non possono essere disposti se è cessata la convivenza.

Un nostro assistito, imputato per maltrattamenti in famiglia, si rivolgeva al nostro studio per informarci che la ex moglie, con ricorso depositato in Tribunale, chiedeva il suo allontanamento dalla casa familiare, la cessazione di condotte vessatorie e di porre a carico del marito un assegno di mantenimento pari ad Euro 700,00.

Tuttavia, il nostro assistito, ben prima del deposito del ricorso si era allontanato dalla casa familiare e, tra l’altro, era destinatario di un divieto di avvicinamento, pertanto, con ogni probabilità la ex moglie si rivolgeva al Tribunale per chiedere l’assegno di mantenimento, non essendoci necessità concreta degli altri provvedimenti.

Ci costituivamo in giudizio, sostenendo che non poteva essere adottato l’ordine di allontanamento dalla casa familiare, poiché il marito si era allontanato già molto tempo prima il deposito del ricorso, non vi aveva fatto più rientro, né aveva mai posto in essere alcuna condotta vessatoria ai danni della moglie. Inoltre, doveva essere rigettata anche la domanda di assegno di mantenimento in quanto accessoria.

La disposizione sul mantenimento è accessoria al provvedimento principale di protezione, sicché la mancanza di presupposto per l’adozione del provvedimento principale determina l’ìimpossibilità di adottare il provvedimento accessorio.

Si chiedeva, quindi, il rigetto del ricorso.

Il Tribunale, accogliendo le nostre difese, ritenuto infondato il ricorso della moglie del nostro assistito lo rigettava, ritenendo che:

L’istituto previsto dall’art. 342-bis c.c. presuppone la convivenza delle parti, requisito
imprescindibile ai fini dell’emanazione della peculiare misura cautelare introdotta
dalla legge 4.4.2001 n.154… da cio’deriva l’impossibilita’, in questa sede, di adottare sia l’ordine di
allontanamento dalla casa coniugale sia gli altri provvedimenti di cui all’art.342 ter
cc. richiesti dalla ricorrente in quanto accessori al predetto ordine.

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Certificato di morte falso ed inoffensività della condotta

Si recava presso il nostro studio un insegnante di scuola dopo aver ricevuto la notifica di un decreto penale di condanna che lo accusava di aver prodotto un falso certificato di morte al fine di giustificare l’assenza sul posto di lavoro. Veniva, altresì, contestato il reato di interruzione di pubblico servizio.

Dalla disamina della documentazione contenuta nel fascicolo del Pubblico Ministero i legali dello Studio Legale Grici & Testa ravvisavano che: 1) il certificato prodotto, per le sue caratteristiche, non era idoneo ad ingannare, tanto è vero che il personale scolastico si era subito accorto della falsità ed aveva avviato le indagini del caso; 2) nessuna interruzione di pubblico servizio si era verificata poiché con il personale presente era stato possibile dare continuità alle lezioni scolastiche.

Si procedeva, quindi, con opposizione al decreto penale di condanna e si affrontava il giudizio.

Al termine dell’istruttoria, il Tribunale di Roma, accogliendo la tesi difensiva, assolveva l’imputato per entrambi i capi d’imputazione.

Infatti, il Giudice, ha ritenuto che il certificato di morte prodotto era da annoverare in un caso di falso grossolano, inidoneo ad ingannare il pubblico.

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