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Assegno di mantenimento non pagato: cosa fare contro l’ex coniuge/compagno/a inadempiente

“L’ex coniuge/compagno/a non paga l’assegno di mantenimento? Scopri quali strumenti legali hai a disposizione per tutelarti e recuperare le somme dovute.”

Quando una coppia si separa una delle condizioni più importanti riguarda l’assegno di mantenimento: un contributo economico stabilito a favore del coniuge più debole e/o dei figli. Purtroppo, può accadere che l’obbligato non rispetti questo impegno, creando difficoltà economiche e tensioni familiari.

In questo articolo vediamo cosa si può fare se l’assegno di mantenimento non viene pagato.


1. L’obbligo di pagamento è un dovere giuridico

L’assegno di mantenimento non è una semplice “gentile concessione”: è un obbligo stabilito dalla sentenza di separazione/di divorzio o di affidamento dei figli nati al di fuori del matrimonio. Ciò significa che, essendo titolo esecutivo, in caso di inadempimento, la parte che non riceve quanto dovuto può agire legalmente per ottenere le somme spettanti.


2. Diffida formale all’ex coniuge/compagno

Il primo passo consigliato è inviare una diffida formale tramite avvocato. Si tratta di una comunicazione ufficiale che invita l’obbligato a rispettare quanto stabilito dalla sentenza di separazione/divorzio/affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio. In molti casi, questo strumento è sufficiente a ottenere il pagamento, evitando procedure più lunghe e costose.


3. Precetto

Se la diffida non produce effetti, l’Avvocato notificherà il titolo esecutivo (ossia la sentenza) contestualmente ad un atto di precetto, con cui si intima all’obbligato di pagare quanto dovuto, entro e non oltre 10 giorni.


4. Esecuzione forzata: pignoramento dello stipendio o dei beni

Se l’obbligato/debitore non paga quanto richiesto entro 10 giorni dalla notifica dell’atto di precetto, è necessario ricorrere al pignoramento. Esistono vari tipi di pignoramento, pertanto il difensore deciderà se procedere a :

  • pignoramento mobiliare, che ha per oggetto i beni mobili dell’ ex coniuge/compagno;
  • pignoramento presso terzi che ha per oggetto i crediti che il debitore vanta presso terzi (rientra in questo tipo di pignoramento quello dello stipendio o della pensione, direttamente presso il datore di lavoro o l’INPS, del conto corrente…)
  • pignoramento immobiliare, che ha per oggetto i beni immobili dell’ ex coniuge/compagno;

Questi strumenti permettono di recuperare coattivamente le somme non pagate.


5. Assegno di mantenimento e tutela penale

Il mancato pagamento dell’assegno di mantenimento non ha solo conseguenze civili. In alcuni casi, infatti, può configurare il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 c.p. e art. 570 bis c.p.).
Ciò comporta la possibilità di presentare una denuncia-querela alle autorità competenti, con conseguenze penali per l’ex coniuge/compagno inadempiente.


6. Perché rivolgersi a un avvocato

Affrontare da soli un inadempimento di questo tipo può essere difficile e stressante. Un avvocato esperto in diritto di famiglia può:

  • valutare la situazione concreta;
  • predisporre la diffida legale;
  • avviare le azioni esecutive per recuperare le somme;
  • tutelare i diritti del coniuge e dei figli davanti al Tribunale.

Conclusione

Se l’ex coniuge/compagno non paga l’assegno di mantenimento stabilito nella sentenza di separazione/divorzio/affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio, non si è privi di tutela: la legge mette a disposizione strumenti efficaci per ottenere quanto spetta di diritto.

Se ti trovi in questa situazione e desideri assistenza, puoi contattare il nostro studio legale: valuteremo insieme la strategia più adatta per tutelare i tuoi interessi e quelli dei tuoi figli

Il nuovo reato di illecita diffusione di contenuti generati o alterati con sistemi di intelligenza artificiale: cosa cambia e perché può riguardarti

Dal 10 ottobre 2025 entra in vigore una nuova norma penale molto importante: l’articolo 612‑quater del codice penale, introdotto dalla Legge 23 settembre 2025, n. 132, che affronta le implicazioni dell’intelligenza artificiale nella diffusione illecita di contenuti. 

In parole semplici: chi pubblica, cede o comunque diffonde immagini, video o voci falsificati (o alterati) con l’ausilio dell’intelligenza artificiale, idonei a trarre in inganno sulla loro genuinità, senza il consenso della persona ritratta, potrà essere perseguito penalmente, allorquando venga cagionato un danno.

Ecco come funziona, chi può essere coinvolto, e perché chi subisce un abuso può rivolgersi a un avvocato penalista.


Che cosa punisce l’art. 612‑quater c.p.

La norma prevede:

  • È reato chi, senza il consenso della persona interessata, cede, pubblica o altrimenti diffonde immagini, video o voci falsificati o alterati tramite sistemi di intelligenza artificiale, che siano idonei ad ingannare chi li osserva o ascolta circa la loro genuinità. 
  • La pena prevista è reclusione da 1 a 5 anni. 
  • Il reato è, di regola, procedibile a querela della persona offesa (cioè, l’azione penale parte solo se la vittima presenta una querela). 
  • Tuttavia, si procede d’ufficio (cioè si può procedere anche senza querela) se:
    1. il fatto è connesso con altro delitto che è perseguibile d’ufficio;
    2. il fatto è commesso contro persona incapace (per età, per infermità);
    3. il fatto è commesso contro una pubblica autorità per le funzioni svolte. 

Perché è una norma rilevante (e insidiosa)

1. L’inganno “high-tech”

Con gli strumenti attuali di AI è sempre più facile creare immagini, video o voci che sembrano reali, ma non lo sono (deepfake, audio sintetici, manipolazioni). Questa norma mira a colpire chi utilizza tali tecnologie per danneggiare la reputazione altrui, diffondere false accuse, creare “prove” fasulle, ecc.

2. Il regime di procedibilità

Il fatto che la norma sia in linea generale a querela significa che è la vittima che deve attivare la macchina giudiziaria. Chi subisce la diffusione illecita deve sapere di dover presentare querela entro i termini per non perdere la possibilità di agire.

Ma esistono condizioni in cui si potrà procedere anche d’ufficio, rendendo possibile l’azione penale indipendentemente dalla volontà del danneggiato. Queste condizioni riguardano situazioni aggravate o soggetti particolari (ad esempio un incapace). 


Quali casi concreti possono rientrare nel nuovo reato?

Ecco alcuni esempi (ipotetici) di situazioni che potrebbero configurare il nuovo reato:

  • Diffondere sui social un video manipolato in cui una persona dichiara cose mai dette, generando danni alla reputazione.
  • Pubblicare una conversazione audio falsificata con voce diventata “simile” a quella della vittima, convincendo altri che la persona ha detto ciò che in realtà non ha detto.
  • Inserire il volto di qualcuno in un video compromettente, pur non essendo presente o non avendo mai partecipato all’evento reale.
  • Creare falsi messaggi vocali attribuiti a una persona, poi diffusi per scopi di ricatto, diffamazione o estorsione.

Se l’alterazione tramite AI è ben realizzata, può essere difficile per chi subisce l’abuso dimostrare la falsità, e in questo contesto la consulenza tecnica e legale diventa essenziale.


Cosa può fare chi subisce un illecito secondo l’art. 612‑quater

Se credi di essere vittima di una diffusione illecita di contenuti manipolati con l’uso dell’AI:

  1. Raccogli prove fin da subito: screenshot, file originali (se li hai), tracce digitali, testimoni.
  2. Valuta la falsità o alterazione del materiale con un consulente tecnico (perizia informatica / digitale).
  3. Presenta querela presso la competente autorità giudiziaria, entro il termine previsto dalla legge, chiedendo che si proceda per il reato previsto dall’art. 612‑quater.
  4. Affidati a un avvocato esperto in diritto penale e in diritto della tecnologia / digitale, che possa assisterti sia in sede penale sia eventualmente in sede civile e che possa chiedere anche misure immediate a tua tutela (es. rimozione del contenuto, oscuramento, sequestro ecc…)

Cosa tenere presente nell’immediato?

  • La norma è nuova: occorrerà vedere come verrà applicata nei casi concreti.
  • La distinzione tra “contenuto genuino” e “contenuto alterato” può essere oggetto di controversia tecnico‑scientifica.
  • Il termine per proporre querela è un vincolo temporale: se scade, potresti perdere la possibilità di far valere il reato.
  • Se il fatto è connesso con altri reati, potrebbe scattare la procedibilità d’ufficio, che modifica la dinamica dell’azione penale.
  • In casi di persone incapaci, l’azione può partire d’ufficio, anche senza querela.

Perché è utile rivolgersi a un avvocato specializzato

  • Valutazione preliminare: capire se il materiale diffuso rientra davvero nel nuovo reato o in altre fattispecie esistenti (diffamazione, calunnia, violazione della privacy, pedopornografia, ecc.).
  • Supporto tecnico‑forense: collaborazione con periti informatici per dimostrare la falsità o alterazione dei contenuti.
  • Redazione della querela/atto di denuncia ben formulato, con tutti gli elementi utili.
  • Interventi urgenti: sequestri, oscuramento, rimozione ecc….

Lo Studio Legale Grici & Testa può fornirti un valido aiuto grazie alla collaborazione con periti esperti e ad un team di avvocati esperti sia di diritto penale che diritto civile per una tutela completa.

Contattaci

Divorzio in Italia: modalità, tempi e costi

Il divorzio è l’istituto giuridico che pone fine a un matrimonio, sciogliendo definitivamente il vincolo giuridico o cessando gli effetti civili del matrimonio concordatario.

Tale procedura, consente a due persone già separate, di riacquistare lo stato di persone non  coniugate e di contrarre nuove nozze, inoltre con esso i coniugi perdono i reciproci diritti di successione.

In Italia esiste il divorzio consensuale ed il divorzio contenzioso.

Conoscere le differenze è fondamentale per capire le tempistiche necessarie per ottenere un divorzio ed i costi da sostenere.


Divorzio consensuale: rapido e meno costoso

Il divorzio consensuale si applica quando i coniugi trovano un accordo su tutte le condizioni: mantenimento, affidamento dei figli, casa coniugale e divisione dei beni.

Procedura:

  • Ricorso su domanda congiunta in Tribunale;
  • Negoziazione assistita;
  • Comparizione davanti all’Ufficiale di Stato Civile.

Tempi: grazie alla legge sul divorzio breve (l. 55/2015), le persone separate consensualmente possono chiedere il divorzio trascorsi 6 mesi dalla separazione.

Una volta avviata la procedura, essa può concludersi in pochi mesi.

Costi: i costi sono ridotti e variano a seconda della procedura scelta. In caso di ricorso su domanda congiunta in tribunale i costi variano, indicativamente, da € 1.000,00 a € 3.000,00; mentre in caso di negoziazione assistita tra gli € 1.500,00 a € 3000,00. Per un divorzio in Comune, senza l’assistenza di un avvocato, è previsto il pagamento di una marca da bollo da € 16.


Divorzio su domanda congiunta in Tribunale

Il divorzio su domanda congiunta (detto anche divorzio consensuale o divorzio congiunto) richiede la presentazione di un ricorso al Tribunale competente, che deve contenere gli accordi sulle condizioni raggiunte, come l’assegnazione della casa familiare, l’affidamento ed il mantenimento dei figli minori, l’eventuale assegno divorzile e la suddivisione dei beni in comune (se non divisi in sede di separazione).

Tribunale competente a decidere sul divorzio è quello della residenza abituale dei figli minori se presenti, in caso contrario quello di residenza di uno dei coniugi.

Il ricorso, redatto da uno Avvocato per parte o dal medesimo Avvocato per entrambi, viene sottoscritto da entrambi i coniugi, e depositato presso la cancelleria del Tribunale competente. Dopo il deposito, viene fissata un’udienza dove i coniugi devono comparire personalmente per esprimere la loro volontà di divorziare alle condizioni personali e patrimoniali pattuite. Successivamente verrà emessa verrà emessa una sentenza che riporta le concordate condizioni che sono state esaminate e approvate dal Tribunale e dal Pubblico Ministero. A questo punto il matrimonio risulta definitivamente sciolto con relativa trascrizione sui registri dello stato civile.

Vantaggi:

  • tempi rapidi (qualche mese);
  • costi contenuti rispetto al giudiziale;

Divorzio con negoziazione assistita

Introdotta dal d.l. 132/2014, la negoziazione assistita permette ai coniugi di raggiungere un accordo con l’aiuto dei rispettivi avvocati. La convenzione e l’accordo vengono sottoscritti presso lo Studio dell’Avvocato e trasmessi alla Procura della Repubblica per ottenere l’autorizzazione/nulla osta, necessaria per la relativa trascrizione sui registri dello stato civile presso il Comune dove era stato celebrato il matrimonio.

Vantaggi:

  • tempi molto rapidi (un paio di mesi);
  • costi contenuti rispetto al giudiziale;
  • si evita l’udienza in Tribunale.

Divorzio davanti all’Ufficiale di Stato Civile

È la modalità più semplice e veloce, possibile solo se:

  • non ci sono figli minori;
  • non ci sono figli maggiorenni disabili o non autosufficienti;
  • non sono previsti trasferimenti patrimoniali.

Procedura: i coniugi si presentano in Comune, davanti all’Ufficiale di Stato Civile, e dopo 30 giorni confermano l’accordo. La tempistica varia a seconda del Comune di residenza, in merito, quindi, sarà necessario contattare gli uffici preposti, anche per conoscere le modalità di presentazione della domanda.


Divorzio contenzioso: quando manca l’accordo

In assenza di accordo sulle condizioni di divorzio, oppure quando uno dei coniugi non si rende disponibile a concedere all’altro l’assenso per il divorzio, il coniuge interessato ad ottenere lo scioglimento del matrimonio civile o la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario deve necessariamente procedere unilateralmente mediante l’instaurazione del divorzio contenzioso (detto anche giudiziale).

Tale procedimento si instaura attraverso il deposito di un ricorso, redatto e sottoscritto dal proprio Avvocato, presso il Tribunale competente

Fissata l’udienza di comparizione personale dei coniugi davanti al Giudice, il ricorrente notifica all’altro coniuge il ricorso con il verbale di fissazione dell’udienza.

Il giudice, sentite le parti e i rispettivi difensori e assunte ove occorra sommarie informazioni, emette con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che ritiene opportuni nell’interesse delle parti, nei limiti delle domande da queste proposte, e dei figli.

Dopo l’udienza, segue una fase istruttoria in cui si raccolgono prove.

La procedura si conclude con la sentenza di divorzio emessa dal giudice, che regola i rapporti tra i coniugi.

Le parti nel corso del procedimento possono richiedere ed ottenere una sentenza parziale sullo status, che dichiara lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, permettendo così ai coniugi di recuperare lo “stato civile libero” e risposarsi, anche prima che siano definite tutte le altre questioni come l’assegno divorzile, l’affidamento dei figli e le questioni patrimoniali.

Tempi: Il ricorso può essere presentato solo dopo un periodo di 12 mesi dalla separazione giudiziale o 6 mesi dalla separazione consensuale. Il procedimento può durare diversi anni.

Costi: molto più elevati rispetto al consensuale. Le spese legali si aggirano, indicativamente, da un minino di € 3.000,00 fino ad arrivare anche a € 10.000,00 in casi particolarmente complessi.


Conclusioni e assistenza legale

Scegliere la modalità di divorzio più adatta non è mai semplice: ogni caso ha le proprie peculiarità e richiede valutazioni attente sugli aspetti economici, patrimoniali e familiari.

Il nostro studio legale offre consulenza e assistenza in tutte le fasi del procedimento di divorzio, sia consensuale che giudiziale, con l’obiettivo di ridurre tempi, costi e conflitti, sempre nel rispetto degli interessi dei figli e dei diritti dei coniugi.

👉 Contattaci per una consulenza personalizzata: ti aiuteremo a individuare la soluzione più rapida e vantaggiosa per il tuo caso.

Ricorda che, in presenza di determinati requisiti reddituali, è possibile accedere al patrocinio a spese dello Stato (gratuito patrocinio), che consente di sostenere le spese legali senza alcun costo per il cliente.

Stalking: cosa dice la Cassazione (Sez. V, sentenza n. 11756 del 25 marzo 2025)

Lo stalking – o reato di atti persecutori – è previsto dall’art. 612-bis del codice penale. Si configura quando una persona, con comportamenti ripetuti, minaccia o molesta un’altra al punto da:

  • provocarle uno stato di ansia o paura;
  • far temere per la propria incolumità o quella di persone care;
  • costringerla a cambiare le proprie abitudini di vita.

La recente sentenza della Cassazione

Con la sentenza n. 11756/2025, depositata il 25 marzo 2025, la Corte di Cassazione, Sezione V Penale, ha ribadito alcuni principi fondamentali sul reato di stalking e la possibilità di applicare misure cautelari anche a fatti, sostanzialmente, meno gravi.

Il caso riguardava un uomo accusato di aver perseguitato l’ex compagna con telefonate, minacce e molestie ripetute nell’arco di circa due settimane.

Il Tribunale del riesame aveva disposto gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico. La difesa contestava la misura, sostenendo che il breve periodo di tempo non fosse sufficiente a configurare il reato di atti persecutori e, comunque, contestava la sussistenza di esigenze cautelari.


I principi stabiliti

La Cassazione ha respinto il ricorso, chiarendo che:

  1. Il reato è abituale: non conta la durata in termini assoluti, ma la reiterazione delle condotte. Anche se avvenute in pochi giorni, se idonee a generare ansia o timore, possono integrare lo stalking.
  2. Non serve uno “stato patologico”: lo stato di ansia o paura non deve necessariamente tradursi in una malattia certificata; è sufficiente che sia concreto e percepibile.
  3. Misure cautelari legittime: l’applicazione degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico è proporzionata quando c’è un rischio reale di reiterazione del reato.

Perché è importante

Questa sentenza conferma che la tutela della vittima di stalking è molto ampia:

  • non è necessario attendere mesi di condotte persecutorie per agire;
  • anche poche (almeno due) condotte concentrate in breve tempo possono bastare;

Assistenza legale

Se sei vittima di stalking o ti trovi coinvolto in un procedimento per atti persecutori, è fondamentale affidarsi a un avvocato penalista esperto.

Il nostro studio offre consulenza e difesa in materia di reati contro la persona, con attenzione sia alla tutela delle vittime sia alla garanzia dei diritti degli imputati.

👉 Contattaci per una consulenza riservata.

Ne bis in idem e archiviazione: si può essere denunciati due volte per lo stesso fatto?

Il principio del ne bis in idem è uno dei pilastri del diritto penale: nessuno può essere processato due volte per il medesimo fatto. La sua base normativa si trova nell’art. 649 del codice di procedura penale e, a livello sovranazionale, nell’art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e nell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Ma come funziona questo principio nella fase delle indagini preliminari? E, soprattutto, cosa accade se dopo l’archiviazione di un procedimento penale si viene nuovamente denunciati per lo stesso fatto? E se a seguito di una denuncia vengono aperte due procedimenti penali a carico della stessa persona?


Archiviazione e suoi effetti

Quando il pubblico ministero, al termine delle indagini preliminari, ritiene che non vi siano elementi sufficienti per formulare una ragionevole previsione di condanna può chiedere al giudice per le indagini preliminari (GIP) l’archiviazione del procedimento.

L’archiviazione:

  • non costituisce una sentenza definitiva di assoluzione,
  • non ha efficacia di giudicato sostanziale,
  • non preclude in via assoluta la riapertura delle indagini.

In altre parole, l’archiviazione “chiude” il procedimento in quel momento, ma non impedisce che in futuro lo stesso fatto possa tornare ad essere oggetto di indagine se emergono nuovi elementi.


Differenza con il giudicato

Il principio del ne bis in idem opera pienamente soltanto quando vi è un giudicato penale (sentenza irrevocabile di assoluzione o condanna).

L’archiviazione non rientra in questa categoria, quindi non impedisce di riaprire il fascicolo. In caso di nuova denuncia per il medesimo fatto, il pubblico ministero ha due possibilità:

  1. Valutare se vi siano elementi nuovi e rilevanti che giustifichino l’iscrizione di una nuova notizia di reato e/o la riapertura delle indagini;
  2. Chiedere l’archiviazione immediata se la nuova denuncia non porta alcuna novità rispetto al procedimento già archiviato.

Il GIP, inoltre, è chiamato a vigilare che non si trasformi l’archiviazione in un modo per “aggirare” il ne bis in idem sostanziale.


Quando si può riaprire un’indagine già archiviata?

La legge consente la riapertura delle indagini solo se emergono nuovi elementi di prova (art. 414 c.p.p.).
In mancanza di novità, una nuova denuncia per lo stesso fatto dovrebbe essere destinata a un’archiviazione rapida, proprio per evitare abusi e inutili duplicazioni di procedimenti.

Un caso pratico affrontato dal nostro Studio

Per capire meglio, riportiamo un esempio concreto tratto da un caso affrontato dal nostro Studio.

Un soggetto aveva presentato querela lamentando che l’ex coniuge non avesse rispettato un provvedimento del Tribunale in materia di affido. Tuttavia, lo stesso fatto era già stato oggetto di un precedente procedimento penale, per il quale il Pubblico Ministero aveva chiesto e ottenuto l’archiviazione.

Quando la querela è stata riproposta, la Procura – a seguito di nostra memoria difensiva – ha rilevato che non era possibile aprire un nuovo procedimento per lo stesso fatto: si sarebbe violato il principio del ne bis in idem. Il Pubblico Ministero ha quindi chiesto al giudice l’archiviazione della nuova notizia di reato, specificando che non erano emersi elementi nuovi tali da giustificare una riapertura delle indagini.

Questo caso mostra bene come, dopo un’archiviazione, una nuova denuncia identica e priva di elementi di novità non può portare a un nuovo processo.


Conclusioni

  • Il ne bis in idem si applica in modo pieno solo alle sentenze passate in giudicato.
  • L’archiviazione non equivale a un’assoluzione definitiva e non impedisce, di per sé, una nuova indagine.
  • Tuttavia, per riaprire un procedimento archiviato è necessario che emergano elementi di fatto nuovi.
  • In caso di nuova denuncia senza nuovi elementi, il pubblico ministero deve chiedere una nuova archiviazione, a tutela del principio di legalità e di economia processuale (ne bis in idem sostanziale).

In sintesi: dopo l’archiviazione si può essere nuovamente denunciati per lo stesso fatto, ma la riapertura delle indagini è legittima soltanto se vi sono elementi realmente nuovi rispetto al procedimento precedente.

Separazione consensuale: cos’è, come funziona e vantaggi

La separazione, per una  famiglia, è un momento delicato, che porta con sé cambiamenti importanti e spesso preoccupazioni per il futuro. Essa rappresenta una condizione transitoria, in cui i coniugi sono autorizzati a vivere separati, e a cui possono seguire:

  • la riconciliazione;
  • il divorzio

Detto questo, occorre specificare che ci sono due tipologie di separazione: 

  • la separazione giudiziale, a cui si ricorre quando i coniugi non sono in grado di negoziare, rimanendo fermi ognuno nelle proprie convinzioni e condizioni.
  • la separazione consensuale, possibile in caso di pieno accordo tra i due coniugi sul prosieguo dei loro rapporti personali e patrimoniali.

Percorrere una strada piuttosto che un’altra ha tutta una serie di ripercussioni, non solo dal punto di vista psicologico ma anche sulle tempistiche e sui costi da sostenere.

La separazione consensuale, permette ai coniugi di affrontare questa fase di cambiamento in modo più sereno e con tempistiche più veloci, inoltre i costi di una separazione consensuale sono inferiori rispetto a quelli richiesti da una giudiziale.

Che cos’è la separazione consensuale

La Separazione consensuale è la procedura che consente ai coniugi, allorché si verifichino fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, di separarsi concordando le condizioni.

In pratica, marito e moglie, chiedono di essere autorizzati a vivere separati, alle condizioni pattuite e relative ad aspetti fondamentali come:

  • l’affidamento e il mantenimento dei figli:
  • l’assegnazione della casa familiare;
  • l’assegno di mantenimento;
  • la gestione dei beni comuni.

Tre diversi tipi di separazione consensuale

Oggi la legge prevede tre diverse forme di separazione consensuale:

  1. Davanti al Tribunale
    I coniugi, a mezzo del proprio avvocato (che può essere unico per entrambi), presentano ricorso dinanzi al Tribunale competente. Il giudice, verificate che le condizioni statuite siano conformi ai dettati normativi e non contrastino con norme inderogabili, emette sentenza di separazione.
  2. Con negoziazione assistita dagli avvocati
    I coniugi, ognuno assistito dal proprio difensore, redigono e firmano prima  una convenzione e successivamente l’accordo di negoziazione assistita. Trasmessi gli atti e i documenti alla Procura della Repubblica si attende l’autorizzazione o il nulla osta che verrà comunicato al Comune dove era stato celebrato il matrimonio.
  3. In Comune
    È la procedura più rapida ed economica, ma è possibile solo se non ci sono figli minori, né maggiorenni incapaci o economicamente non autosufficienti. I coniugi, personalmente, si rivolgono agli Uffici predisposti del proprio Comune dove dovranno sottoscrivere l’accordo davanti all’Ufficiale di Stato Civile.


Quali documenti servono per la separazione consensuale

I documenti necessari per la separazione consensuale, sono:

  • Estratto per riassunto dell’atto di matrimonio;
  • Certificato di residenza e stato di famiglia, anche contestuale, di entrambi i coniugi;
  • Copia di un documento di identità di entrambi i coniugi;
  • Copia del codice fiscale di entrambi i coniugi.

In caso di domande di contributo economico o in presenza di figli minori, al ricorso devono essere allegati, anche:

  • le dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni di identità di entrambi i coniugi;
  • la documentazione attestante la titolarità di diritti reali su beni immobili e beni mobili registrati, nonché di quote sociali, di identità di entrambi i coniugi;
  • gli estratti conto dei rapporti bancari e finanziari relativi agli ultimi tre anni di identità di entrambi i coniugi;

Nei procedimenti relativi ai minori, al ricorso è allegato:

  • un piano genitoriale che indica gli impegni e le attività quotidiane dei figli relative alla scuola, al percorso educativo, alle attività extrascolastiche, alle frequentazioni abituali e alle vacanze normalmente godute

I vantaggi della separazione consensuale

  • Più rapidità: i tempi sono notevolmente ridotti rispetto a una causa di separazione giudiziale.
  • Meno costi: si evitano le spese di un lungo processo.
  • Maggiore serenità: affrontare la separazione con spirito collaborativo riduce conflitti e tensioni, soprattutto quando ci sono figli coinvolti.

👉 In sintesi: se c’è volontà di collaborazione, la separazione consensuale rappresenta la strada più rapida, economica e serena per affrontare un momento di cambiamento così importante.

📞 Se stai pensando a una separazione o sei stato raggiunto da una richiesta di separazione  e vuoi capire quale percorso sia più adatto alla tua situazione, contattaci: insieme valuteremo la soluzione più sicura e tutelante per te e per la tua famiglia.

Gratuito patrocinio: cos’è e chi può beneficiarne nel 2025

Hai bisogno di un avvocato ma temi di non potertelo permettere? Sappi che in molti casi puoi avere assistenza legale gratuita, grazie all’istituto del patrocinio a spese dello Stato, più conosciuto come gratuito patrocinio.

Cos’è il gratuito patrocinio?

Il gratuito patrocinio è un diritto previsto dalla legge italiana che consente ai cittadini con redditi bassi di essere assistiti da un avvocato senza dover sostenere le spese legali, perché a pagarle è lo Stato.

Chi può richiederlo?

Può fare richiesta chi ha:

  • cittadinanza italiana o è cittadino straniero regolarmente soggiornante (questo perché è necessario un documento d’identità per la richiesta di ammissione) oppure apolide;
  • un reddito annuo non superiore a un certo limite stabilito dalla legge.

🔔 Novità 2025: Il limite di reddito per accedere al gratuito patrocinio è stato aumentato.

Qual è il nuovo limite di reddito?

Con il Decreto del Ministero della Giustizia del 11 luglio 2025, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, il nuovo limite di reddito è stato elevato a € 13.659,64.

Fino al 2024, il limite era € 12.838,01, quindi si tratta di un aumento significativo che permetterà a più persone di accedere al beneficio.

Il reddito da considerare è quello famigliare, ossia il reddito complessivo del richiedente e delle persone conviventi, come risulta dall’ultima dichiarazione dei redditi (modello 730 o modello Redditi).

Attenzione: si tiene conto del solo reddito personale quando sono oggetto della causa diritti della personalità, ovvero nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi.

CODICE ROSSO: la persona offesa dai reati di cui agli articoli 572, 583-bis, 609-bis, 609-quater, 609-octies e 612-bis, nonché, ove commessi in danno di minori, dai reati di cui agli articoli 600, 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601, 602, 609-quinquies e 609-undecies del codice penale, può essere ammessa al patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito previsti dalla Legge

Come si presenta la domanda?

La domanda va presentata in forma scritta, e deve contenere:

  • i dati anagrafici del richiedente;
  • il motivo per cui si vuole fare causa o difendersi;
  • una dichiarazione dei redditi (autocertificazione ai sensi del DPR 445/2000);
  • eventuali documenti a supporto (es. copia dell’ultima dichiarazione dei redditi, NO ISEE).

A seconda del tipo di causa, la domanda si presenta:

  • presso la segreteria dell’Ordine degli Avvocati;
  • oppure direttamente all’autorità giudiziaria (es. nel processo penale).

L’avvocato lo scelgo io?

Sì, puoi scegliere liberamente l’avvocato tra quelli iscritti negli elenchi degli avvocati abilitati al patrocinio a spese dello Stato. Puoi trovarli sul sito dell’Ordine degli Avvocati della tua città.


Hai dubbi? Contattami

Se pensi di poter rientrare nei requisiti o vuoi sapere se puoi beneficiare del gratuito patrocinio, puoi contattarci per una valutazione preliminare.

Ti aiuterò a:

  • capire se hai diritto al patrocinio gratuito,
  • predisporre e presentare la domanda,

avviare o difenderti in un procedimento legale senza preoccuparti delle spese legali.

Reato estinto con condotte riparatorie: quando e come è possibile?

Molti assistiti, coinvolti in un procedimento penale, ci chiedono: È vero che se risarcisco il danno posso evitare il processo o la condanna? La risposta è: sì, in certi casi è possibile ottenere l’estinzione del reato con il risarcimento del danno. In questo articolo ti spieghiamo quando si può fare, come funziona e quali vantaggi può portare.


1. Cos’è l’estinzione del reato per condotte riparatorie

Il nostro ordinamento prevede che alcuni reati possano essere dichiarati estinti se l’imputato pone in essere determinate condotte riparatorie, come ad esempio il risarcimento integrale del danno alla persona offesa.

Si tratta di una forma di giustizia riparativa, introdotta con il d.lgs. 274/2000 per i reati di competenza del giudice di pace, e poi estesa anche ad alcuni reati più gravi (come ad esempio le lesioni personali colpose o alcuni reati contro il patrimonio).


2. Quando è possibile ottenere l’estinzione del reato

L’estinzione del reato per risarcimento del danno è possibile solo per alcune tipologie di reati. I principali requisiti sono:

  • Reato perseguibile a querela di parte
  • La persona offesa deve aver ricevuto un risarcimento integrale del danno
  • se la persona offesa non accetta il risarcimento è comunque possibile chiedere al Giudice di dichiarare estinto il reato formulando un’offerta reale a norma degli artt. 1208 e seguenti c.c.
  • la condotta riparatoria deve essere posta in essere prima della dichiarazione di apertura del dibattimento

3. I vantaggi per l’imputato

Se il giudice accoglie l’istanza il reato è dichiarato estinto e l’imputato non subisce alcuna condanna. I vantaggi sono notevoli:

  • Nessuna iscrizione nel casellario giudiziale come condannato
  • Niente processo (o processo che si chiude rapidamente)
  • Nessuna sanzione penale

Naturalmente, tutto questo richiede la collaborazione della persona offesa e un intervento tempestivo del difensore.


4. Il ruolo dell’avvocato

Il compito del difensore è valutare subito se il reato rientra tra quelli estinguibili, contattare la persona offesa (quando possibile) e costruire un accordo riparativo che soddisfi le condizioni di legge. Dopodiché si può presentare un’istanza al giudice, anche prima del dibattimento. Di frequente accade anche che, trovato l’accordo con la persona offesa, quest’ultima decida di procedere alla remissione di querela con chiusura immediata del procedimento ed estinzione del reato, senza bisogno di dover presentare l’istanza ex art. 162 ter c.p. al Giudice.


Conclusione

In molti casi, una soluzione intelligente e collaborativa può evitare l’aggravarsi delle conseguenze penali. Se sei coinvolto in un procedimento penale per un reato procedibile a querela di parte, valuta con il tuo avvocato se puoi risolvere la situazione in modo efficace e senza condanna, attraverso un percorso riparativo.

Hai bisogno di una consulenza su un procedimento in corso? Contattaci: possiamo valutare insieme se ci sono le condizioni per richiedere l’estinzione del reato.

Divieto di avvicinamento e diritto di visita

Oggi parleremo del rapporto tra la misura cautelare del divieto di avvicinamento e il diritto di visita del genitore separato, alla luce della recentissima sentenza n. 19483/2025 della Corte di Cassazione penale.


1. Cos’è la misura del divieto di avvicinamento?

Si tratta di una misura cautelare (ex art. 282 ter c.p.p.) volta ad impedire alla persona indagata o imputata di avvicinarsi alla persona offesa, ai luoghi frequentati dalla persona offesa o dai suoi famigliari. La misura può consistere anche nel divieto di comunicazione , con qualsiasi mezzo, con la persona offesa o con i suoi conviventi o con le persone che le sono affettivamente legate. La sentenza 19483/2025 ha confermato la legittimità di applicare tale divieto anche nei confronti del figlio minore quando questo abbia assistito a maltrattamenti, cioè nel caso di violenza domestica cosiddetta assistita.

In concreto, il provvedimento può vietare ad un padre indagato di maltrattamenti in famiglia, a cui abbia assistito il figlio,  di avvicinarsi ai luoghi frequentati dal minore (abitazione, scuola, parchi ecc.), di comunicare con lui o di usare intermediari.  L’obiettivo primario è quello di tutelare il minore che sia stato vittima o testimone della violenza. 


2. Il diritto di visita del genitore separato

Nel diritto civile, in caso di separazione o divorzio, è riconosciuto al genitore non collocatario il diritto di visita al figlio minore, spesso regolato dal tribunale civile nell’interesse del bambino. Questa misura mira a salvaguardare il legame genitoriale, bilanciando i diritti di entrambi i genitori.

Tuttavia, secondo la Cassazione, questo diritto non è assoluto, ma deve cedere di fronte alla necessità di tutelare il minore che sia stato vittima dei maltrattamenti, anche nel caso in cui non siano a lui diretti ma vi abbia assistito.  

La tutela del minore è prioritaria e superiore anche al diritto di visita. 


3. La sentenza n. 19483/2025: i punti salienti

  • Si conferma che il minore vittima diretta o testimone di maltrattamenti è qualificato come “persona offesa” dal reato, giustificando una tutela penale più incisiva .
  • Il Giudice penale può pertanto adottare misure cautelari che siano, astrattamente, in contrasto con il provvedimento civile che dispone il diritto di visita, laddove queste siano ritenute necessarie per proteggere il minore.
  • La tutela del minore è prioritaria e superiore, in un’ottica di bilanciamento di diritti, rispetto al diritto di visita del genitore.

Sei vittima di maltrattamenti in famiglia e vuoi conoscere quali sono le forme di tutela concretamente volte a proteggere te e la tua famiglia? Sei stato denunciato per maltrattamenti in famiglia e non sai come difenderti? 

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Il nuovo reato nel decreto sicurezza: la norma “ANTI GANDHI”

Hai sentito parlare del recente decreto sicurezza? da oggi è legge e una delle novità più interessanti riguarda l’introduzione di un nuovo delitto che riguarda l’impedimento della circolazione su strada. Vediamo di cosa si tratta in modo semplice e chiaro.

Di cosa si tratta?
Il decreto sicurezza ha modificato l’art. 1 bis del D.lgs n. 66/48 trasformando quello che prima era un illecito amministrativo in un reato che punisce chiunque ostacoli o impedisca la libera circolazione su strada o su ferrate, ostruendo la stessa con il proprio corpo. Questo può includere azioni come bloccare un’arteria stradale, mettendosi seduti sulla stessa così da impedire il passaggio dei veicoli e delle persone.

Perché è stato introdotto?
L’obiettivo principale è garantire la sicurezza di tutti gli utenti della strada, prevenendo situazioni di pericolo che possono derivare da atti di sabotaggio, proteste o altri comportamenti che ostacolano la circolazione. In questo modo, si vuole tutelare la libertà di movimento e ridurre i rischi di incidenti o blocchi improvvisi.

Quali sono le sanzioni?
Le sanzioni previste per chi viola questa norma sono la reclusione fino a un mese o la multa fino a 300 Euro, ma se il fatto è commesso da più persone riunite la pena aumenta e consiste nella reclusione da sei mesi a due anni. 

In sintesi
Il nuovo reato mira a proteggere la circolazione stradale e a garantire che tutti possano muoversi in sicurezza. È importante rispettare le regole e ricordare che azioni che ostacolano il traffico possono avere conseguenze legali serie.

Va ricordato che l’art. 1 del D.lgs 66/48 sanziona con la reclusione da uno a sei anni il reato di blocco ferroviario ovvero l’illecito commesso da chi, per impedire od ostacolare la libera circolazione, depone o abbandona congegni o altri oggetti di qualsiasi specie in una strada ordinaria o ferrata o comunque ostruisce o ingombra una strada ordinaria o ferrata (comma 1); alla stessa pena è soggetto chi con le stesse modalità commette analogo blocco in una zona portuale o nelle acque di fiumi, canali o laghi, per ostacolare la libera navigazione, o comunque ostruisce o ingombra tali zone (comma 2). La pena è raddoppiata se il fatto è commesso da più persone, anche non riunite, ovvero se è commesso usando violenza o minaccia alle persone o violenza sulle cose (comma 3). 

Se hai altre domande o vuoi approfondire qualche aspetto, i legali del nostro studio sono qui per aiutarti!